Aprire una società in Romania e lavorare in Italia

I vantaggi della costituzione di una società in Romania

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Aprire una società, è per la maggior parte degli imprenditori, il primo passo per entrare nel mondo del business. Pertanto, approcciarsi a questo mondo, richiede spregiudicatezza che permetta di vedere revenues e possibili profitti, laddove persone ordinarie identificherebbero solo lungaggini burocratiche e rischi. D’altra parte, si necessita di tanta oculatezza dal punto di vista finanziario in primis, e poi giuridico, onde non incappare nella commissione di reati o illeciti amministrativi. In questo articolo tratteremo la costituzione di una persona giuridica, nelle vesti di società di persone o capitali in Romania. Per informazioni sui passi per l’apertura della società in Romania, vi rimandiamo ad un nostro articolo precedente. L’economia rumena, secondo il Report della Nomura Investment Banking per il 2017- che si occupa di economie emergenti- vedrà il suo PIL crescere del 4,1 %, dopo essere aumentato del 5% quest’anno. Gli analisti, infatti, hanno evidenziato che i fattori chiave, ovvero elasticità fiscale e politiche finanziarie flessibili, continueranno a lasciare il segno sull’economia. Ci si aspetta che l’inflazione raggiunga l’1.5% tra Giugno-Settembre 2017, per passare al 3.5% a Gennaio 2018, dovuto ad un aumento generale della produzione, all’incedere del prezzo del petrolio e alla diminuzione dell’IVA. Grazie ad una classe politica post elezione, meno tesa allo scontro e alla confusione, e quindi, più propensa ad un sistema ordinato sulla scia di riforme idonee ad aiutare il paese, si prevede che il tasso di interesse della National Bank of Romania crescerà dal 2% al 3% il prossimo anno.

Dopo un breve excursus sulla struttura economica rumena, affronteremo il tema squisitamente tecnico, riguardante la convenienza della costituzione di una società di persone o capitali in Romania e soprattutto dell’opportunità di aprire una società in Romania e lavorare in Italia. La normativa di riferimento per i modelli societari rumeni è la seguente:

– Legge 31/1990;

– Legge n. 441 del 27.11.2006 che ha profondamente riformato il diritto societario allineandolo anche a direttive comunitarie;

– Legge 515/2006;

– Ordinanze di emergenza n. 52/2007 e n. 82/2008.

1) Società di persone: Società in nome collettivo – Societate in nume colectiv (snc) e Società in accomandita semplice – Società in Comandit Simpla (S.c.s.)

2) Società di capitali: Società Responsabilità Limitata – Societate cu Rasundere Limitata (S.r.l.), Società per azioni – Societate Pe Actiuni (S.a.) e Società in accomandita per azioni – Societate in Comandita Pe Actiuni (S.c.a.):

Tra le persone giuridiche più usate e affidabili vi è la SRL. L’affidabilità e la sicurezza in questo tipo di figure risiede nel fatto che coloro che la compongono, non sono personalmente responsabili in caso di insolvenza della stessa. Il socio, potrebbe solo perdere gli assets della società e il capitale iniziale che è stato portato inizialmente. Tuttavia, la legge limita il numero di soci in una SRL, sebbene può capitare che una SRL possa avere un solo socio, il cosiddetto sole shareholder.

La flessibilità strutturale di questa persona giuridica, permette allo stato di garantire determinati sgravi fiscali. Infatti, se la SRL ha profitti sotto i 65.000 euro, allora, sarà considerata una microimpresa. Questo significa che l’ordinaria imposta sul reddito verrà abbassata dal 16% al 3%.

Se i soci non hanno mai, precedentemente, posseduto azioni in altre società in Europa, allora, avranno un diritto di costituire una SRL-D. Questa è l’opzione più appetibile e seducente, poiché permette la libertà di stabilimento, radicata anche nell’art. 43-48 Trattato della Comunità Europea, (ora art. 49-55 TFUE), finanziamenti non rimborsabili di 10.000 euro, esenzione da contribuzioni sociali per 4 dipendenti, e dulcis in fundo, garanzia statale dell’80% per crediti pari a 100.000 euro. Tuttavia, una SRL-D ha anche un numero di limiti che devono essere rispettati: reinvestimento obbligatorio del 50% dei profitti e l’obbligo di avere almeno 2 dipendenti per un periodo determinato di 3 anni. Altrimenti, sarebbe come amministrare una SRL ordinaria.

  • Vantaggi

La Romania ha un PIL di 178 milioni di dollari e cresce ad un tasso costante del 4.2% all’anno. Il consumo interno e l’alto tasso di investimenti (il più in alto in Europa attualmente) sono i fattori chiave della crescita. La Romania ha un settore in crescita il cui fiore all’occhiello è il settore dell’export: autoricambi, conduttori elettrici, automobili, petrolio raffinato e grano. Il paese ha tratto beneficio dall’entrata nell’Unione Europea, in quanto ha creato possibilità sociali ed economici che prima erano semplicemente utopistiche, ovvero libertà di movimento di persone e lavoratori; assenza di trattenute su beni venduti all’interno della zona EU etc. In più, la strategica posizione del paese nell’Europa dell’est permette l’accesso al mercato russo di 144 mln di persone. A tanto si aggiunga, che vi è anche un accordo tra Romania e la Camera di Commercio e Industria della Federazione Russa, siglato nel 2008 per incrementare il commercio tra i due paesi. Il costo del lavoro in Romania è basso, in media, un’ora di lavoro costa 6,00 euro, che la rende la seconda più bassa tra gli stati dell’unione.

-Dove investire

La Romania ha una considerevole riserva di ferro, tungsteno e carbone, con più di 34 milioni di tonnellate, lavorate ogni anno, rendendo questo paese molto appetibile per l’industria mineraria. Il tasso di imposte per le società in Romania è basso al 16%

La Romania, è anche parte della Single Euro Payments Area (SEPA).

  • Svantaggi

La lingua ufficiale è il rumeno e questo può generare delle barriere comunicative. La Romania, tra l’altro, è la sessantaduesima economia in termini di competitività nel mondo secondo il Global Competitiviness Report 2016-2017. Ancora, secondo l’Indice di Percezione della Corruzione 2015, della International Transparency, una misura globale per inibire la corruzione tra pubblici dipendenti e politici, la Romania si posiziona al cinquantottesimo posto nella classifica tra i paesi più corrotti al mondo.

Quando non è possibile costituire una società di persone e/o capitali all’estero e operare in Italia: Il Fenomeno dell’esterovestizione ed i suoi profili applicativi.

Il tema della residenza fiscale delle società o enti esteri facenti parte di gruppi multinazionali italiani ha assunto particolare importanza nell’attualità tributaria, anche per effetto dell’introduzione dell’art. 73, comma 5-bis, del TUIR, ad opera del D.L. n. 223, del 4 luglio 2006, contenente “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale”. Con l’obiettivo di contrastare il fenomeno delle società cd. “esterovestite”, l’art. 35, comma 13, del citato D.L., ha introdotto nell’ordinamento giuridico italiano una presunzione legale relativa, in base alla quale, in presenza di determinate condizioni, la sede dell’amministrazione di società ed enti (formalmente) non residenti si considera, salvo prova contraria, esistente nel territorio dello Stato. Più nel dettaglio, l’art 73, comma 3, per collegare le persone giuridiche al territorio nazionale, prevede 3 criteri, uno di carattere formale, gli altri aventi carattere sostanziale: sede legale, la sede dell’amministrazione e l’oggetto principale. I presupposti in esame, sono alternativi, in quanto è sufficiente che si realizzi uno degli elementi sopra indicati perché la società di persone o di capitali, l’associazione o l’ente siano considerati fiscalmente residenti in Italia e, pertanto soggetti a tassazione per i redditi ovunque prodotti nel mondo. Tanto è vero, che bisogna considerare il c.d World-wide principle, che, alla stregua del TUIR ex art. 73, stabilisce che i redditi prodotti dal soggetto passivo giudicato residente in Italia sono assoggettati ad imposizione sul territorio dello stato, indipendentemente dal luogo ove tali redditi sono stati prodotti. Ed è proprio il TUIR – Testo Unico delle Imposte sui Redditi (DPR 22 dicembre 1986, n. 917) ad assumere rilevanza dal punto di vista giuridico-finanziario per chi intende aprire una società all’estero, sebbene operando in Italia. Lo stesso, prevede dei limiti stringenti, oltre i quali si rischia palesemente di commettere reati o illeciti amministrativi. L’art. 73 del TUIR, al comma 5-bis, prevede: “salvo prova contraria, si considera esistente nel territorio dello Stato la sede dell’amministrazione di società ed enti, che detengono partecipazioni di controllo, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, del codice civile, nei soggetti di cui alle lettere a) e b) del comma 1, se, in alternativa: a) sono controllati, anche indirettamente, ai sensi dell’art. 2359, comma 1, del codice civile, da soggetti residenti nel territorio dello Stato; b) sono amministrati da un consiglio di amministrazione, o altro organo equivalente di gestione, composto in prevalenza di consiglieri residenti nel territorio dello Stato”. Al fine di vincere tale presunzione, è necessario che si dimostri che, nonostante ricorrano i previsti requisiti, la sede amministrativa è comunque situata nel Paese estero in cui si trova la sede legale o, in ogni caso, non è da considerarsi radicata nel territorio nazionale. In linea di principio, è necessario dimostrare che la società o ente estero, indipendentemente dalla circostanza che abbia una holding di riferimento in Italia o dalla residenza fiscale italiana dei singoli membri del Consiglio di Amministrazione (C.d.A.), è di fatto amministrata al di fuori del territorio italiano.  E’ da ritenere del tutto erronea, l’idea di sfuggire al controllo del Fisco, ricorrendo ad un Trust, in quanto si considerano residenti nel territorio dello Stato, salvo prova contraria, i Trust e gli istituti aventi analogo contenuto istituiti in Paesi che non consentono lo scambio di informazioni (Paesi non inclusi nella cosiddetta «white list» approvata con decreto del Ministro delle Finanze 4 settembre 1996 e successive modificazioni) quando almeno uno dei disponenti ed almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente residenti nel territorio dello Stato.

  • Cosa si rischia:

Le violazioni tributarie ammnistrative riconducibili all’esterovestizione societaria sono, quindi, di carattere amministrativo ovvero penale. Gli illeciti amministrativi che potrebbero configurarsi sono contemplati dal D.lgs. 471/1997 e dal D.P.R. 605/1973; essi sono:

  • Omessa tenuta delle scritture contabili obbligatorie ai fini iva/ires;
  • Omessa richiesta di attribuzione del numero di codice fiscale;
  • Omessa presentazione della dichiarazione di inizio attività e del luogo in cui sono tenuti e conservati i libri, i registri, le scritture e i documenti obbligatori;
  • Omessa (o infedele) presentazione della dichiarazione annuale dei redditi ai fini Ires;
  • Omessa (o infedele) presentazione della dichiarazione annuale ai fini IVA;
  • Omessa (o infedele) presentazione della dichiarazione annuale ai fini Irap.

Come già detto, la condotta elusiva che porta ad un indebito risparmio di imposta configura ipotesi di reato. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la dirimente sentenza 28 febbraio 2012, n. 7739 sostenendo che, nei limiti fissati dalle norme sui reati tributari e valutando caso per caso l’elemento psicologico, sono ravvisabili i reati previsti dagli articoli 4 e 5 del D.Lgs. 74 del 2000 (rispettivamente dichiarazione infedele e omessa dichiarazione). Se le fattispecie criminose sono incentrate sul momento della dichiarazione fiscale e si concretizzano nell’infedeltà dichiarativa, il comportamento elusivo non può essere considerato tout court penalmente irrilevante. Tuttavia, occorre che sia raggiunta la soglia di punibilità minima per l’imposta evasa” e che sia riscontrato positivamente l’elemento psicologico per la commissione del reato, costituito dal fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto.

  • Quando è possibile costituire una società di persone e/o capitali all’estero.

Vi può essere una costituzione societaria all’estero che non incappi nel fenomeno dell’esterovestizione in presenza di un insediamento produttivo effettivo in un altro Paese comunitario, giacché il fenomeno dell’esterovestizione sussiste esclusivamente in presenza di una costruzione meramente artificiosa. Pertanto, spostare l’insediamento produttivo, producendo reddito in un determinato paese, non determina alcuna fattispecie di reato penale o illecito amministrativo. Questo è il principio ribadito, di recente, dalla sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Verona, n.327/2014 del 21 luglio 2014. Infatti bisogna considerare uno dei punti cardine delle politiche dell’Unione Europea, ovvero la “Libertà di stabilimento”, che è un diritto riconosciuto dalla normativa comunitaria ai sensi degli artt. 43 e seguenti del Trattato della Comunità Europea (ora artt. 49 e ss. del TFUE) e che tale diritto subisce una sola eccezione: ossia l’ipotesi in cui la società costituita all’estero rappresenti una costruzione meramente artificiosa, artefatta, al solo scopo di eludere l’imposta ordinariamente dovuta. Sicché, se l’ordinamento circoscrive le restrizioni al diritto di stabilimento alle sole situazioni in cui sussistono pratiche abusive, allora è naturale giungere alla conclusione che non possa essere mossa la contestazione di esterovestizione in presenza di uno stabilimento produttivo effettivamente insediato in un altro Paese comunitario. A tanto si aggiunga, anche il concetto diplace of effective management”, criterio elaborato nel modello di convenzione OCSE per la risoluzione dei conflitti di residenza delle persone giuridiche, risaltando l’importanza del luogo in cui sono prese le decisioni fondamentali necessarie per la gestione dell’impresa, secondo il concetto di sede di direzione effettiva quale criterio per risolvere le problematiche inerenti alla residenza delle persone giuridiche. Sostanzialmente, dal punto di vista giuridico, non è possibile una esterovestizione, in quanto, è una pratica contra legem, tuttavia, l’operatore del diritto, con oculatezza, in base alle sue esigenze ed al suo business plan, deve scorgere quelle falle che le legislazioni europee o non-europee presentano, al fine di portare il proprio assetto organizzativo, amministrativo e produttivo in quel determinato contesto, favorevole alle sue stesse necessità. Per mero tuziorismo esemplificativo, nel Regno Unito, vi è il beneficio di un’aliquota della corporate tax al 21 per cento, ridotta al 10 per cento sulla quota di reddito societario attribuibile ai grandi marchi, ai brevetti ed agli altri assets immateriali, così come prevede il nuovo regime agevolato, il cosiddetto “patent box”, in vigore da aprile 2013. In tal modo, il Regno Unito si candida a diventare un Paese altamente attrattivo per le società di gestione di tecnologia e beni immateriali e, nel contesto di una profonda riforma della tassazione delle imprese multinazionali, ha introdotto anche regimi di favore per il rimpatrio dei dividendi e per le “controlled foreign companies”. Pertanto, vi sono molteplici opportunità di fare business, salvaguardando i propri interessi, purché vengano rispettati i principi che regolano l’abuso del diritto in materia di elusione fiscale.

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