28 Luglio 2014, L’Unione Europea, gli Stati Uniti e altri stati come Norvegia, Canada, Australia approvano le sanzioni contro la Russia che prevedono delle restrizioni a livello finanziario-bancario (le banche russe non hanno sostanzialmente accesso al credito in questi stati, quindi di fatto non possono comprare e vendere valuta estera) più il congelamento di beni e proprietà di alcuni noti personaggi russi così come il divieto di vendere e fare contratti che prevedono scambi di conoscenze tecnologiche. Il fattore scatenante fu l’annessione – occupazione – ritorno della Crimea nella Federazione Russa a seguito della rivoluzione – colpo di stato – volere popolare in Ucraina che vide la dedistuzione dell’ex presidente filo-russo Viktor Yanukovich a favore di Petro Poroshenko, filo europeista e a favore di un’Ucraina come membro NATO.
Quest’ultima preoccupazione di fatto ha portato, secondo alcuni teorie geopolitche sia russe che americane, a innescare il processo di annessione della Crimea nella Russia; ovvero la paura di avere potenziali sottomarini nucleari USA (o NATO) nel porto di Sevastopoli a 13 km dal confine russo. Secondo altre fonti, sempre geopolitche ma più specializzate nell’analisi socio-politica, il fattore principale che ha portato la Crimea a diventare parte della Russia è stata la naturale connessione che da sempre lega questa piccola penisola alla Madrepatria; infatti non bisogna dimenticare che la Crimea era da sempre parte della Russia così come le regioni di Donetsk e Lugansk; quest’ultime vennero accorportare all’Ucraina per volere di Lenin nel 1919, per favorire una gestione più rapida ed efficiente delle risorse in queste regioni meglio collegate a Kiev che non alla Russia. La Crimea invece divenne parte dell’Ucraina per volere di Kruschev e già nel 1994 gli abitanti di questa penisola, a seguito del crollo dell’URSS, indissero un referendum che sancisse il passaggio della Crimea dall’Ucraina alla Russia, ma essendo stato promulgato dopo la creazione della costituzione ucraina, venne considerato nullo.
La crisi in Ucraina è il tassello mancante di una sorta di “guerra fredda” che forse non è mai finita fra gli USA e la Russia; secondo alcuni esperti russi infatti non sarebbe stato un caso che la crisi in Ucraina sia avvenuta in concomitanza con il boom dello shale oil negli Stati Uniti, ovvero l’inizio della produzione dell’olio di scisto che avrebbe portato gli USA a diventare primi produttori di petrolio al mondo. Questa notizia, parzialmente smentita nel 2017 in quanto il numero di pozzi petroliferi negli USA è diminuito poichè le stime sulle riserve di shale oil sarebbero meno di quelle quantificate precedentemente, portò ovviamente ad un repentino ribasso del prezzo del petrolio che ebbe l’effetto di destabilizzare il rublo che nell’arco di due mesi passò da 53 rubli per un euro (ottobre 2014) a 99 rubli (dicembre 2014).
La destabilizzazione economica in Russia c’è stata sopratutto nel 2014 ma gli effetti generatosi non possono essere nemmeno paragonabili alla crisi del 1998, quando lo stato dichiarando default, creò un’iperinflazione che superò i 1000 punti nell’agosto del 98.
In ogni caso le sanzioni occidentali nacquero come risposta, seppur tardiva, all’annessione della Crimea da parte della Russia, in quanto mai provato è stato il coinvolgimento diretto della Russia nella guerra nelle repubbliche di Dontesk e Lugansk che, è bene ricordarlo, non sono riconosciute come nazioni indipendenti dalle Nazioni Unite ma al tempo stesso il governo Ucraino non riconosce loro lo stauts di cittadini ucraini, per questo motivo non possono ne votare alle elezioni ucraine ne hanno l’accesso al sistema sanitario e pensionistico ucraino. Una sorta di limbo già visto in Georgia con la repubblica di Ossetia e dell’Abkhazia oppure in Moldavia con la Repubblica della Transisnatria; stati con popolazione a maggioranza russofona che però non vengono riconosciuti a livello internazionale.
Il vero punto d’attrito, ovvero la contesa, fra la Russia e l’Ucraina sostenuta dalle nazioni occidentali sta nel riconoscimento del referendum in Crimea dove, il 94% della popolazione si esperesse a favore del ricongiungimento della penisola con la Russia. Il problema è che per l’occidente questo referendum è stato considerato nullo in quanto viola la costituzione ucraina e considera la Russia come paese invasore della penisola appartenente ancora all’Ucraina.
Le sanzioni europee portarono la Russia a dare una risposta nel settembre 2014, ovvero vennero promulgate le contro-sanzioni che prevedono l’embargo di tutti i prodotti agricoli e di buona parte di quelli alimentare dai paesi che hanno sottoscritto le sazioni contro la Russia nel luglio 2014. Ricordiamo che l’importazione di questi alimenti è vietata per fini commerciali, ma a livello personale, seppur con diverse limitazione alla dogana, per gli stranieri così come per i russi che hanno visitato l’Europa e i paesi occidentali, è tutt’ora possibile portare con se alimenti fabbricati in Europa.
Attualmente Coldiretti stima che le perdite del settore agroalimentare italiano a seguito delle sanzioni russe ammonta a 3.6 miliardi di Euro ponendo di fatto il nostro paese al primo posto fra i paesi più danneggiati dalle sanzioni. Il dato che più dovrebbe far preoccupare però non è tanto la quantità di posti di lavoro che sono andati perduti in questi cinque anni di sanzioni, bensì sono le prospettive future per questo settore che dovrebbero mettere in allerta il nostro paese.
Infatti, a seguito delle contro-sanzioni russe si è assistiti ad un momentaneo deficit di alimenti europei che però, seppur ha inciso nel mercato nazionale, non ha sortito grandi effetti negativi per l’economia interna russa che ha saputo prontamente reagire alla mancanza di questi prodotti. In un primo momento sembrasse che il modo migliore per importare questo tipo di beni dall’Europa fosse quello di commerciare tramite la Bielorussia, ovvero creare società di import-export che avevano il compito di comprare prodotti Europei, farli stoccare in Bielorussia e poi rivenderli in Russia tramite queste società bielorusse. Questo sistema ha funzionato per qualche mese, ovvero fino a quando i servizi doganali Russi hanno deciso di confiscare e distruggere tonnellate di mangiare europeo confiscato al confine fra le due nazioni. Dopo il definitivo abbandono dell’alternativa “bielorussa”, le alternative rimaste sono la Serbia e San Marino, troppo distanti dalla Russia e quindi economicamente non sostenibili. Proprio a questo punto arriva la svolta a U che di fatto ha reso le sanzioni europee contro la Russia non solo inefficienti, ma addirittura controproducenti per l’Europa stessa, ovvero un danno alla propria economia.
Molte società europee hanno quindi, grazie anche alla politica inclusiva russa e hai benifici messi a disposizione per gli investimenti economici stranieri sul suolo russo, deciso di delocalizzare la propria produzione e di “muovere” le proprie fabbriche in Russia per iniziare il ciclo produttivo nel paese. Le compagnie alimentari più grosse hanno direttamente portato il proprio marchio in Russia, facendo di questo paese il “quartier generale per il mercato centro-asiatico; le imprese con investimenti insufficienti a creare dal nulla il proprio ciclo produttivo invece, sono entrate nel mercato russo tramite le joint-venture; molto spesso sugli scaffali russi infatti capita di trovare alimenti prodotti in Russia con tecnologia ad esempio italiana, è per esempio il caso della salsa di pomodoro o della pasta. Ad oggi il mercato russo non solo è riuscito a colmare il deficit interno, ma ha addirittura incrementato posti di lavoro e diminuito il livello di importazioni con effetti propedeutici all’economia nazionale in termini di diversificazione della produzione e autosufficienza interna. Chi purtroppo ha veramente perso a seguito delle sanzioni sono i coltivatori e allevatori italiani, che purtroppo hanno perso un socio che ha sempre considerato il Made in Italy sinonimo di eccellenza e qualità. Anche il settore della frutta e verdura, sopratutto per il periodo invernale non risente più delle sanzioni dato che le aziende europee sono state sostituite da altre provenienti da altre nazioni, prime fra tutte Turchia, Egitto e Marocco, ma anche altre come il Sud Africa e i paesi dell’America Latina e come sempre la Cina hanno trovato nuove opportunità di esportare nella Federazione Russa.
Arrivati ormai a questo punto del processo evolutivo economico russo post-sanzioni è ormai chiaro che chi davvero vorrebbe la fine delle sanzioni sono gli ormai ex-partner commerciali europei e sopratutto italiani che vorrebbero ritornare ad esportare i propri prodotti in Russia; il vero problema è capire se, quando queste sanzioni finiranno, la Russia avrà ancora bisogno dei suoi ex partner commerciali dato che ormai è evidente che in questo stato si è raggiunto una stabile autosufficienza commerciale. Inoltre è importante sottolineare il ruolo della Cina che, grazie alle relazioni politiche privilegiate con la Russia, ha già iniziato ad utilizzare le distese lande russe per fini agricoli, cercando di fare quello che nessuna joint venture sia ancora riuscita a fare in russia, ovvero un processo produttivo straniero in Russia a filiera corta.
Per valutare le opzioni di apertura di società in Russia, si veda il seguente articolo